«Sempre attenta ai bisogni degli altri. Come se per una donna non ci fosse nulla, proprio nulla, di più importante.»

L’educazione sociale, sentimentale e sessuale di una donna dalla provincia francese degli anni Quaranta alla temperie di liberazione degli anni Settanta.
Le scoperte e i tabù dell’infanzia, gli ardori e i conformismi dell’adolescenza, gli anni trepidi e indipendenti dell’università, ingolfati di amori e di scelte, finché i mille bivi della giovinezza non convergono in un’unica via dalla forza di attrazione quasi irresistibile: il matrimonio, la fondazione di una famiglia. E qui lo squilibrio di ruoli e mansioni tra moglie e marito, tra madre e padre condanna l’autrice alla glaciazione dell’interiorità e del desiderio.
In un continuo contrappunto tra le proprie esperienze e i modelli imposti dall’onnipresente universo maschile – nel sussidiario delle elementari come nei riti collettivi della gioventù e nei luoghi comuni sulla «femminilità» –, Annie Ernaux descrive con precisa passione l’apprendistato alla disparità di una donna, consegnandoci con spietata limpidezza un’impareggiabile radiografia della moderna vita di coppia.

Annie Ernaux è nata a Lillebonne nel 1940 ed è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettrici e lettori. Nel 2022 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura.

Dal libro:

«Cominciare la parte accidentata della storia, la meravigliosa avventura del futuro, non così meravigliosa poi, ne uscirò malconcia, con un senso di umiliazione e di rivolta. Sono andata incontro ai ragazzi come si parte per un viaggio. Con paura e curiosità. Non li conoscevo. Li avevo lasciati che mi tiravano castagne dal ciglio della strada d’estate, e palle di neve all’uscita di scuola d’inverno, oppure che ci urlavano parolacce dal marciapiede opposto, e io gli gridavo manica di cretini o di coglioni, a seconda delle circostanze, ovvero che ci fossero o meno adulti nei paraggi. Scalmanati, un po’ ridicoli. C’era voluta tutta la grazia di un pomeriggio di pattini a rotelle perché ne trasfigurassi uno. Nel frattempo dovevano essere cambiati quanto me. Partivo verso di loro con un bagaglio leggero, le conversazioni fra ragazze, qualche romanzo, i consigli dell’Écho de la mode, le canzoni, certe poesie di de Musset e un’overdose di sogni, sorella minore di Madame Bovary. E nel profondo, nascosto come qualcosa di disdicevole, il desiderio di un piacere per il quale avevo già trovato la strada da sola. Certo, l’altra metà del mondo per me era un mistero, ma ero fiduciosa, sarebbe stata una festa. L’idea che tra i ragazzi e me ci fosse una disuguaglianza, un altro tipo di differenza rispetto a quella fisica, mi era in fondo sconosciuta perché non l’avevo mai vissuta. È stata una catastrofe.»

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06/02/2021 · Il Fatto Quotidiano
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