

Se la saga di Piccole donne ha plasmato l’immaginario di generazioni di giovani lettrici, la vita della sua autrice è rimasta piuttosto in ombra. Dalla militanza femminista e abolizionista alla predilezione per i romanzi a tinte forti, dal difficile rapporto con la fama alla messa in discussione dell’istituto matrimoniale, le lettere di Louisa May Alcott (1832-1888) – tradotte per la prima volta in italiano – svelano l’intrepida e accidentata parabola di una scrittrice che seppe farsi largo in un mondo di uomini.
Maria S. Porter, poetessa femminista e abolizionista, fu intima amica di Alcott per oltre vent’anni, e le dedicò anche un appassionato libro di ricordi personali. Poco tempo prima della seguente lettera, Porter era stata eletta fra i membri del consiglio scolastico di Melrose, cittadina della contea di Middlesex.
Oh, che notizia formidabile! Mi auguro che la prima mozione che tu e la signora Sewall proporrete al consiglio scolastico sia la riduzione dello stipendio del preside, contestualmente all’aumento di quello della sua assistente, che sgobba quanto lui, se non di più. Sono convinta che per la stessa quantità di lavoro, svolta altrettanto bene, sia doveroso un uguale salario. Sei d’accordo con me, vero? In futuro auspico che le donne possano fare quel che vogliono, che gli uomini la piantino di metter loro i bastoni tra le ruote, e soprattutto che la partita si giochi ad armi pari – è una semplice questione di giustizia, e questo è quanto. Non ne posso più di sentir parlare di «sfera femminile», né dai nostri illuminati (?) legislatori seduti sotto la cupola dell’assemblea di Stato, né tantomeno dai predicatori sui loro pulpiti. Sono stufa, dopo tutti questi anni, di sorbirmi fandonie su querce vigorose e fiorellini di campo, la cavalleria maschile e il dovere di proteggerci. Lasciamo la donna libera di scoprire i propri limiti. Se davvero – come sembrano convinti questi signori – la Natura ha concepito per lei una sfera specifica, vorrà dire che finirà per adattarvisi spontaneamente. Ma per la miseria, diamole una possibilità! Non precludiamole nessuna professione, facciamola accedere all’educazione universitaria per una cinquantina d’anni: soltanto allora sapremo davvero di che stiamo parlando. A quel punto, e non prima, saremo in grado di dimostrare cosa può e cosa non può fare una donna, e le generazioni a venire potranno comprendere e definire in che consista questa «sfera femminile» molto meglio dei retrogradi figuri che vanno pontificando ai nostri giorni.