Frédéric Pajak

Manifesto incerto

Sotto il cielo di Parigi con Nadja, André Breton, Walter Benjamin

  Brossura con alette, edizione illustrata
  marzo 2021
  224 pagine     € 28,00  € 26,60
  isbn 9788831312608
  traduzione di Nicolò Petruzzella
«Una delle imprese artistiche più originali e illuminanti del nostro tempo.» Corriere della Sera

Per lungo tempo camminare a Parigi ha significato «prendere confidenza con l’infinità del mondo». Mercati grandi come quartieri, stazioni dalle enormi volte d’acciaio e un fitto reticolo di vicoli dove a ogni passo si celava la vertigine della scoperta. Era, quella Parigi, una città in grado di trasfigurare letterariamente ogni sguardo, e cambiare il corso di una vita. Accadde al pittore americano Edward Hopper, che nella capitale francese tornò più volte per forgiare il suo stile unico. E accadde a Nadja, giovane donna spavalda e spaesata che in un pomeriggio stanco d’ottobre incontrò su un boulevard l’uomo che l’avrebbe trasformata in un mito poetico, per poi abbandonarla sull’orlo della pazzia: André Breton. E accadde anche a Walter Benjamin, che con uno dei suoi scritti più mirabili la elesse definitivamente capitale del XIX secolo.
Con disegni dall’immediata e durevole forza evocativa, e una prosa traboccante commozione, Frédéric Pajak appaia figure storiche e destini privati, convoca Charles Baudelaire e Frida Kahlo, grandi artisti e illustri sconosciuti, per comporre un inno d’amore a una città che «ha stremato di gioia e dolore migliaia di anime».

Nato in Francia nel 1955, Frédéric Pajak ha avuto un’esistenza assai tribolata. A sedici anni viene ammesso all’Accademia delle Belle Arti, ma vi resta solo un semestre, oppresso dalla rigidità dell’ambiente. È l’inizio di un lungo valzer di mestieri che lo porterà negli anni successivi a lavorare come operaio, grafico, cuccettista sui treni notturni, inserviente in un macello industriale. In questi anni conosce la povertà più disperata – arrivando a chiedere l’elemosina tra i boulevard di Parigi – e una solitudine cui riesce a sfuggire soltanto grazie alla scrittura, alla poesia e al disegno. I libri della serie Manifesto incerto, l’impresa letteraria di una vita, intessono esistenze, parole e immagini di grandi figure dell’arte e del pensiero del XIX e del XX secolo. Tradotti in oltre dieci Paesi, dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, dalla Russia alla Germania, hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti come il premio Médicis per il saggio 2014 e il premio Goncourt per la biografia 2019 e, nel 2021, il Gran premio svizzero di letteratura e il premio di saggistica “Città delle Rose”.

Dal libro:

«Me ne sono andato spesso da Parigi, per poi puntualmente ritornarci. Sua è l’aria che ho respirato alla mia nascita, in avenue Bolivar, poi in quai Bourbon e ancora dopo in avenue Michel ­Bizot. Lì, avrò avuto otto anni, mi sono riempito dell’odore zuccherino dei banchi di scuola, dell’odore del gesso e dei calamai. Ho corso e giocato all’ombra dei ca­stagni del cortile. Ero il campione indiscusso di Shangai della mia classe. Ho sognato le grandi guerre di Francia, e ancor di più ho sognato sulle carte fluviali, sulle carte geologiche che mi svelavano i grezzi calcari lute­ziani e le candide falesie del Cretaceo.
Su avenue Michel­ Bizot ho visto un incendio per la prima volta. Le fiamme furiose e indomite guizzavano alte nel cielo, avvolgevano le case dal basso lasciandosi dietro scheletri di mura annerite. Quelle macerie fumanti mi hanno segnato più di qualsiasi altro evento. Da allora subisco il fascino delle rovine, dei muri scalcinati, della ruggine, dell’edera ram­picante, delle ortiche: commoventi testimonianze della vanità delle cose.
Quando si è un bambino in pantaloncini bianchi, andare per le strade di Parigi significa prendere confidenza con l’infinità del mondo. Ogni marciapiede conduce a un altro marciapiede, un marciapiede che spunta all’angolo con un’altra strada che dà a sua volta su una strada ancora diversa. Correre sui grandi quai che costeggiano la Senna, precipitarsi giù per le scalinate e schizzar via all’ombra del primo ponte, poi tornare a percorrere i viali nell’aria fresca della sera. “Essere fuori di sé eppure sentirsi in sé dovunque” scriveva Baudelaire.»

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