«Saprò mai in quale attimo il conto alla rovescia di quei secondi è inciampato nell’irreversibile?»

Sono le undici del mattino. Sulla Nazionale 13 che collega Parigi a Rennes, la MG 1100 procede a centoquaranta chilometri all’ora in direzione dell’ampio curvone della località chiamata La Providence. Alla radio, la voce di Charles Trenet canta una vecchia canzone, Revoir Paris. Il riverbero del sole fa brillare sull’asfalto le tracce lasciate da un acquazzone di fine estate e riaccende nella memoria dell’uomo al volante i primi istanti di un amore lontano. Nella tasca della giacca, una lettera da non spedire. L’uomo fa il gesto di accendersi una sigaretta; non immagina quanto due soli secondi possano essere decisivi, e modificare senz’appello il corso degli eventi.
Con la maestria di un perfetto cineasta, Paul Guimard orchestra una densa narrazione a metà strada tra la vita e la morte, in cui si alternano l’emergenza del presente e i ricordi lontani, il sovrapporsi delle voci e le impressioni di profumi perduti.

Paul Guimard (1921-2004), giornalista, romanziere e commediografo francese, è stato un intellettuale versatile, amico di registi e politici come Jacques Demy e François Mitterrand. Compagno di vita della scrittrice femminista Benoîte Groult, condivideva con lei la passione per l’oceano e la navigazione. Le cose della vita, pubblicato nel 1967, è il titolo che l’ha consacrato. Grazie alla sua trama perfetta e serrata ha ispirato diverse trasposizioni cinematografiche: una del 1970, per la regia di Claude Sautet, con Michel Piccoli e Romy Schneider, e un’altra (piuttosto catastrofica) del 1994, con Richard Gere e Sharon Stone. Vincitore del Prix des libraires, regolarmente ristampato in Francia da più di cinquant’anni, è oggi considerato un libro di culto.

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