
Il 15 novembre 1974, alla bolognese Galleria de’ Foscherari, s’inaugura la mostra "Ghenos Eros Thanatos". Il curatore, Alberto Boatto, è uno dei più originali critici d’arte italiani: vero “maestro in ombra” se ce n’è uno. Tredici artisti (da Alighiero Boetti a Gino De Dominicis, da Giosetta Fioroni a Jannis Kounellis) sono raccolti, fra la nascita e la morte, dalla «forza che tenta di far legamento fra i due estremi»: l’erotismo. Psicoanalisi, antropologia, cultura del “negativo” sono gli strumenti di questo «richiamo al represso, a quanto è vietato perché non allineato col presente e ne rappresenta il male». Ogni nascita, reversibilmente, è un «cerimoniale di messa a morte interrotta»: è il caso, all’inizio del percorso (dopo la «soglia» di un Burri «sadico e medievale»), di Pino Pascali che come uno zombie emerge da terra (in un video realizzato da Luca Patella poco prima della sua scioccante scomparsa). L’indifferenza dandistica di Duchamp raggela la crudeltà viscerale di Artaud in quello che da ora in poi, inconfondibile, sarà il tono di Boatto. Cioè uno dei più segreti e verticali, dei maggiori saggisti del nostro tempo (in appendice sono raccolti quattordici suoi testi rari: da un’interpretazione eretica del Sessantotto a un postmodernismo disforico, virato al nero, con l’acuta consapevolezza “postuma” di uno scacco insieme storico ed esistenziale). In occasione della mostra esce un libro che è, e non è, il suo catalogo: un «libro-mappa», «un periplo attorno alle situazioni limite della vita», «culmini cavi» della nostra esistenza. È il libro nero dell’arte italiana: messale sulfureo dei suoi riti più segreti e perturbanti. Come scrive Stefano Chiodi, «né saggio critico, né scritto teorico, né testo letterario, o meglio tutte queste cose assieme», Ghenos Eros Thanatos nega e insieme porta all’estremo, forse, la vicarietà e insieme il vampirismo dello scrivere sull’arte (nonché della critica in generale).