

«A teatro è il fiato dello spettatore che dà fiato all’attore. Lo so per via che ogni tanto recito versi: io vario, essi variano, in funzione di chi ascolta, e viceversa.» Così scrive Elio Pagliarani nel Teatro come verifica: il primo dei saggi e articoli una cui scelta ordinò, nel ’72, col titolo appunto Il fiato dello spettatore (scelta qui ampliata e proseguita sino al termine della sua attività di critico teatrale, nell’84, grazie a un approfondito scavo bibliografico). Un’interazione da sempre presupposta dal teatro, certo, ma che per Pagliarani è solo un aspetto di quello che più gli interessa: «la socialità dell’arte come capacità di provocazione immediata». In quegli anni, più radicalmente, «intervento del pubblico come elemento costitutivo dello spettacolo» (per esempio col Living Theatre) e annullamento, dunque, della separatezza sacerdotale tra il performer solo al comando e un’audience passiva e gastronomica: in una fusione simile, invece, al «ritmo corale» dei «braccianti del mare» evocato dal poeta nella Ballata di Rudi. L’incontro di Pagliarani col teatro non fa che dar seguito, infatti, alla componente pubblica, cioè sociale, di una parola, come la sua, da sempre declamata sulla strada prima che sulla scena. Una parola in 3D, già «spettacolo come quei libri per l’infanzia, che oggi diremmo in qualche modo pop, donde salta fuori un bosco un castello i sette nani, a ogni pagina». Assistiamo allora all’incontro fra i numi di Brecht e Artaud in un teatro che fa appello insieme all’intelletto e ai sensi: quello che si poté vedere, sulle scene italiane, nei mitici Sessanta e Settanta. Le «cronache» teatrali di Pagliarani, come le chiama con un termine a lui caro, restano oggi non solo la testimonianza più appassionata di quelle stagioni, ma anche la «cronaca» più fedele, ancorché o proprio in quanto frammentaria, di un tempo che volle sfidare le convenzioni e le convenienze di sempre per «tirare su la schiena», una buona volta. E proporsi, in tutti i sensi, all’aperto.A.C.
Elio Pagliarani è nato a Viserba, Rimini, nel 1927; ha insegnato a Milano prima di trasferirsi nel ’60 a Roma, dove è morto nel 2012. È fra i massimi poeti del nostro Novecento. I due «romanzi in versi», La ragazza Carla e La ballata di Rudi, sono stati pubblicati nel 1960 e nel 1995 (La ragazza Carla è stata più volte riproposta, anche a teatro e al cinema; la sua ultima edizione è uscita dal Saggiatore nel 2016) e sono raccolti, insieme al resto dell’opera poetica, in Tutte le poesie (1946-2005), Garzanti 2006; i testi per la scena sono in Tutto il teatro, Marsilio 2013. Lo stesso editore ha pubblicato nel 2011 l’autobiografia Pro-memoria a Liarosa. Dalla fine degli anni Cinquanta alla metà degli Ottanta è stato giornalista, all’«Avanti!» e a «Paese Sera», occupandosi prevalentemente di critica teatrale; una prima raccolta dei suoi pezzi, scelti da lui stesso, è stata pubblicata col titolo Il fiato dello spettatore, da Marsilio, nel 1972. L’ultima rubrica è stata quella di bibliofilia tenuta su «Wimbledon» dal ’91 al ’93. Da ricordare anche gli scritti su amici artisti come Perilli, Novelli o Scialoja. Compreso nell’antologia a cura di Alfredo Giuliani, I Novissimi (1961), ha fatto parte del Gruppo 63. Dai suoi corsi-laboratorio di poesia degli anni Settanta e Ottanta sono passati i principali autori attivi a Roma in quel tempo. L’Associazione letteraria Premio Nazionale Elio Pagliarani, costituita dagli eredi nel 2015, ha avviato il riordinamento delle carte dell’Archivio del poeta, conservato a Roma come la sua Biblioteca, rendendo così possibile la realizzazione di questo volume.