«Entrare nella scrittura come si entra in un quadro: è questa l’esperienza sensuale e letteraria che David Bosc ci regala.» Télérama

Romanzo felice e carnale, La chiara fontana narra – in stato di grazia – l’arte di un’epoca, la forza dei sensi e l’esultanza del corpo.
Luglio 1873: il grande pittore realista Gustave Courbet – autore della famigerata Origine del mondo al centro di mille scandali – inizia il suo esilio in Svizzera. È stato tra i protagoni­sti dell’irripetibile stagione della Comune di Parigi e ha contribuito all’abbattimento della colonna Vendôme, simbolo del più tronfio imperialismo. Condannato a risarcire i danni e a scontare sei mesi di galera in una Francia insanguinata dalla reazione, Courbet ha scelto la fuga, ossia la libertà. E proprio come «la conseguenza di una libertà» David Bosc racconta gli ultimi quattro anni di vita di questo colosso della pittura, una libertà che è «dovere di governare se stessi» e coincide con le gioie, pure e contagiose, dell’arte e della Natura.
Con una lingua luminosa, Bosc alterna in un vivace montaggio documenti, testimonianze e lucida immaginazione per consegnarci un modello di etica pratica e sensoriale, il ritratto di un uomo schietto, generoso, lontanissimo da ogni mitologia della genialità. La vita ebbra e consapevole di un artigiano del sublime.

David Bosc (1973) è uno dei romanzieri francesi più celebrati degli ultimi anni. Nato e cresciuto in Provenza, lavora da anni per la casa editrice Noir sur Blanc. Ha tradotto Jonathan Swift e Dino Campana. È autore di romanzi e raccolte di racconti con cui ha vinto, tra gli altri, il Prix Marcel-Aymé, il Prix Michel-Dentan e il Prix suisse de littérature. Con La chiara fontana (L’orma, 2017) è stato finalista al premio Goncourt. Il passo della Mezza Luna è il suo quinto romanzo, un libro capace, secondo «L’Humanité», di immaginare «un mondo in cui lavoro, riposo e gioie si vivono al ritmo della poesia giapponese, per celebrare la pienezza di ogni istante».

Sfogliando La chiara fontana...

L’uomo che aveva appena varcato la frontiera, quel 23 luglio 1873, era un uomo morto e la polizia non lo sapeva. Poco tempo prima di partire aveva scritto: «Oggi appartengo chiaramente, tutto saldato, alla categoria degli uomini che sono morti, uomini di cuore, uomini devoti alla Repubblica e all’uguaglianza senza interessi egoistici». (Tutto saldato significa: ho già dato, e sull’unghia, senza santi in paradiso.) L’olocausto nauseabondo in cui furono gettati la Comune e i comunardi lo aveva colpito così tanto e così intensamente che da quel momento Courbet si era schierato nella categoria degli uomini che sono morti. In altre parole, si è tirato fuori dal grande ricatto. Ha abbandonato la strada dominata dalle fesserie degli allori da mietere, dei trionfi da raccogliere, dell’onore da conservare più bianco del bianco nel bel mezzo del massacro, della salute che quando c’è, c’è tutto; ha buttato via allodole, specchietti e tutto il resto; si è concesso di essere cieco al richiamo dei manifesti, e sordo a quello dei pifferai. Così come i morti, si è procurato un passaggio in un altro mondo, accontentandosi del primo che ha trovato. È un uomo morto che farà l’amore entro otto giorni. [pp. 17-8]

Quelle ore di ozio nel bel mezzo della settimana davano loro l’impressione di essersi introdotti nel parco di un castello tramite una frana nel muro di cinta. Sotto il cielo immenso, tuttavia, il riso di Courbet aveva il potere di rassicurarli come una pacca sulla spalla. Non esiste una strada della libertà. Quando sono libere, le persone prendono le strade che vogliono. [p. 52]

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